Aveva sempre pensato di essere forte, a suo modo.
Aveva sempre creduto di essere coraggioso e di riuscire a superare ogni ostacolo.
Non era sempre stato facile. A tratti sembrava che non fosse quasi mai stato facile. Per dirla tutta.
Aveva sempre trovato un modo, se non di dribblare elegantemente e in velocità, le difficoltà e i pericoli, di rialzarsi velocemente, dopo aver inciampato, e sbattuto il mento contro il terreno; se non altro le mani, graffiate, avevano cercato di attutire la caduta.
E proprio a questi inciampi e a questa capacità di lavare via le ferite e di scrollare la polvere dai vestiti, arrivando ad accarezzare con ammirazione le minuscole croste, formatesi dove la pelle si era spaccata, oggi era più grato che mai.
Mentre sorseggiava il suo caffè, guardando le luci brillare, in alternanza col buio, e sfocarsi, quando spostava lo sguardo sulle gocce di vapore acqueo che solcavano il vetro, a pochi centimetri dagli occhi, realizzava che anche la vita e il tempo sono così. Una fila di lucine, colorate, sfavillanti, che poi si spengono, poi si riaccendono, poi si spengono ancora.
Con un ritmo che all’inizio è regolare e quasi musicale. Poi qualcosa, nel meccanismo che regola il lampeggio, evidentemente si inceppa, si deteriora. E il battito non è più regolare non è più prevedibile e chissà per quanto proseguirà. Qualche lucina purtroppo si brucia. Non si accende più. E le altre quasi sicuramente sentiranno la loro mancanza.
Proveranno ancora, ostinate, a colorare il buio, finché potranno, finché sarà data loro questa possibilità.